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Rassegna stampa

Il “Veleno della Disuguaglianza” non può fermare L’integrazione

Corriere del Trentino 14/07/2022

La paura dello straniero è sempre, in qualche modo, la paura dello straniero che ciascuno di noi è per se stesso e da cui ci difendiamo per proteggere la nostra identità, ha teorizzato Julia Kristeva, psicoanalista e filosofa, in un saggio di qualche anno fa in cui parla dell’irritazione, addirittura del dolore che spesso il confronto con l’altro porta con sé. E’ una questione millenaria quella della xenofobia, parola che ha origine nel greco antico infatti, il cui significato è avversione, ostilità, respingimento verso le persone di altra cultura, lingua, usanze, provenienti da altri Paesi, appartenenti ad altri popoli.

Da qui nascono i rifiuti, le difficoltà, le incertezze, le ipocrisie nell’essere d’accordo di riconoscere la cittadinanza a bambini e ragazzi stranieri nati e residenti in Italia e a minori stranieri che hanno fatto ingresso nel nostro Paese entro il compimento del dodicesimo anno di età e abbiano frequentato per almeno 5 anni uno o più cicli scolastici, come da proposta del deputato 5stelle Giuseppe Brescia, sostenuta da PD, Italia Viva e, con qualche distinguo, da Forza Italia.

Coloro che sono contrari o tiepidamente favorevoli allo ius scholae hanno convinzioni e atteggiamenti che si articolano in una scala di gravità a seconda della rilevanza e dell’intensità dei loro stereotipi e dei loro pregiudizi.

Quelli decisamente contrari sono gli esponenti delle forze di destra che considerano lo straniero come nemico il quale, arrivando da Paesi lontani in cerca di lavoro, dignità, felicità, metterebbe a rischio la qualità e la sicurezza della vita delle comunità in cui si inserisce.

Condizioni di vita che i presunti autoctoni avrebbero realizzato da soli e che non sono disponibili a condividere con i nuovi cittadini.

In alcuni casi fanno riferimento alla delirante teoria di Oriana Fallaci sull’islamizzazione dell’Occidente.

Nell’area del centrosinistra – oltre ai favorevoli non solo allo ius scholae ma anche allo ius soli – si trovano gli incerti, i tiepidi che pongono dubbi, invitano alla prudenza con giustificazioni del tipo chi chiede la cittadinanza deve essere orgoglioso del nostro Paese, rispettarne la Costituzione e condividerne la cultura.

A questi vorrei porre una domanda. Essere orgogliosi dall’Italia e rispettare la Costituzione non sono requisiti che valgono anche per i minori italiani e trentini doc? Perché per confermare il loro diritto alla cittadinanza non si fa per ciascuno un’istruttoria, un’indagine, un esame? Ai contrari decisi e agli incerti dubbiosi vorrei dire: di cosa stiamo parlando?

La società reale nella tessitura delle relazioni umane personali, sociali, culturali, economiche è molto più avanti, ben oltre le vostre paure. Ammesso e non concesso che siano sincere.

Forse non si sa, o si vuole dimenticare di sapere, che buona parte della nostra scuola dell’infanzia, primaria e secondaria, in Trentino, è adeguatamente attrezzata per riuscire a valorizzare le capacità e i talenti di coloro che provengono da situazioni sociali, culturali diverse al fine di garantire pari opportunità di apprendimento.

Sono diffuse esperienze didattiche e pratiche educative in cui si cerca di far vivere l’alterità come risorsa e non come problema. Le scuole e gli altri luoghi educativi, culturali e sportivi, abitati dai nostri ragazzi, costituiscono occasioni importanti per produrre cultura insieme e cioè costruire spazi fisici, mentali e dell’anima dove bambini, ragazzi, adolescenti si cercano, si incontrano, si intrecciano, si contaminano di sapere, sentimenti, emozioni.

Sono percorsi di costruzione di comunità cosa, solidale, interculturale.

Cosa devono fare di altro i bambini e gli adolescenti di origine straniera, che sono all’interno della nostra comunità, per meritarsi la cittadinanza? Per i loro compagni e le loro compagne, per gli insegnanti e gli educatori, per gli allenatori sportivi, per le altre persone con cui hanno a che fare sono già cittadini italiani a tutti gli effetti.

Allora, attenti a contribuire al rischio di diffondere ciò che Simone Weil ha definito “il veleno della disuguaglianza” minando le dimensioni di fraternità, di parità e di solidarietà tra gli uomini e le donne, soprattutto in tempi come questi in cui ce n’è grande necessità.

La possibilità di vivere con gli altri senza rifiutarli, ma allo stesso tempo senza annullare le differenze, passa attraverso il riconoscimento del nostro essere stranieri a noi stessi,

sostiene Julia Kristeva. Rispettare lo straniero nella sua differenza significa riconnettersi al nostro diritto alla singolarità, come ultima conseguenza dei diritti e dei doveri dell’essere umano.

Fabiano Lorandi – Pedagogista dell’Associazione Ubalda Bettini Girella